"Un uomo che teme di soffrire soffre già quello che teme." Montaigne

16 maggio 2011

Ricordi


Riflessioni di una notte inerme. 21 febbraio 2006.


La terra è umida
non posso fare nulla per bruciarla
le mani cercano di spolverare via
le macerie di sogni
che soffocano tesori.
Lei rimane lì scura e grumosa
aspettando ch'io cessi di cercare.
Stavolta non lascerò nuove rovine
a coprire lucentezze e bagliori.
Le unghie affondano
laddove leggerezza non ha avuto fortuna
si lacerano contro le pietre.
Più vanno a fondo
più la difesa si fa serrata.
C'è davvero qualcosa da difendere.
Tutta questa tenacia non può essere per niente.
Graffio via ogni cosa sotto di me.
Freddo bronzeo di ruggine.
Lo sento e nulla posso.
Quel che resta degli artigli
non è sufficiente a portarlo alla luce.
Aspetto le lacrime
per lavar via lo sporco dalle mani
chiuse insieme ad attendere
di riempirsi come pozza d'acqua.
Hanno troppi buchi, le mie mani
per riuscire a trattenere.
Troppi buchi ma se le stringessi di più
potrebbero elemosinare dal cielo
un piccolo lago.
Lavar non solo se stesse
ma il mio viso segnato
la stanchezza sanguigna degli occhi
l'aridità delle labbra
la vecchiezza del corpo.
In questa notte inerme
demolisco cadute deluse
per scoprire ricchezze sotterranee
e lavar via il torpore.
Senza sangue
nessun lavacro è sacro.
Le civette urlano vicino a me.

12 maggio 2011

Amiamo or quando…

- Deh mira – egli cantò – spuntar la rosa
dal verde suo modesta e verginella,
che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa,
quanto si mostra men, tanto è più bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
dispiega; ecco poi langue e non par quella,
quella non par che desiata inanti
fu da mille donzelle e mille amanti.
Così trapassa al trapassar d'un giorno
de la vita mortale il fiore e 'l verde;
né perché faccia indietro april ritorno,
si rinfiora ella mai, né si rinverde.
Cogliam la rosa in su 'l mattino adorno
di questo dì, che tosto il seren perde;
cogliam d'amor la rosa: amiamo or quando
esser si puote riamato amando.

Torquato Tasso Gerusalemme liberata, XVI, 14-15