"Un uomo che teme di soffrire soffre già quello che teme." Montaigne

28 dicembre 2008

Altamura. 28 dicembre 2008

Suona una fisarmonica giù in strada, riempie l'aria di malinconia.
E' questo il Natale, una stretta allo stomaco. Qualcuno che invoca pietà.

22 dicembre 2008

Altamura. 22 dicembre 2008

Quando le mani vanno per conto loro, che perdono lettere e parole sotto il flusso di moti che le dominano. Quando la mente per conto suo corre o si sperde - è più vero - tra lettere e parole sotto il flusso di moti che la dominano. Quando tutto quanto prende un movimento ondulatorio lento, che guida impercettibilmente la testa, od il mondo intorno. Che non sai se effettivamente sei tu o tutto il resto. Quando è così, è come ora. Esattamente come ora.

21 dicembre 2008

Altamura. 21 dicembre 2008

- Vorrei che tu mi raddrizzassi la testa.
- Vorrei poterlo fare! - rise lei.
- Se soltanto riuscissi ad innamorarmi di te... non ti spiace che parli così apertamente a una vecchia amica come te?
- Oh caro, niente affatto! Non preoccuparti di me.
- Se solo ci riuscissi, vedi, è proprio quello che ci vorrebbe per me.
- Ma non ci riuscirai mai, - concluse Biddy.
La cosa non mi sembrava tanto improbabile, quella sera, quanto mi sarebbe sembrata se ne avessimo discusso alcune ore prima: perciò osservai che non ne ero poi tanto sicuro. Ma Biddy affermò che lei ne era sicura, e lo affermò con decisione. In cuor mio pensavo che aveva ragione, pure accolsi piuttosto risentito la sua risposta così categorica.
Grandi speranze - Charles Dickens

20 dicembre 2008

Altamura. 20 dicembre 2008

Luci di fuoco
accendono l'aria
di tenui respiri
vibranti. La terra
spande il ritmo
d'una danza lontana
fino ad empirne
le ossa. Luci di fuoco
allora e danza
si mescolano assieme
e respiri ed ossa
in pura musica
invisibile.

14 dicembre 2008

Altamura. 14 dicembre 2008

Era uscito col vestito della festa, accompagnato dai soliti amici. Abito di panno, scarpe di pelle e cravatta. Le strade erano le solite, stranamente deserte in quel gelo pungente d’inverno. I colori attutiti dal lucore del sole, che si spendeva vano.
Percorrevano la solita via, parlottando degli impegni della settimana, con le mani in tasca e le spalle sollevate dal freddo, guardandosi sorridenti ed accelerando il passo per scaldarsi un po’.
Quando entrarono, i volti che gli erano attorno si mutarono in visi sconosciuti. Mantenevano i lineamenti di ogni giorno, ma s’erano velati di un sorrisetto nascosto, malizioso, incerto, ambiguo, per nulla rassicurante. Lo condussero dietro un banco ed andarono a sedersi dietro una balaustra in legno scuro.
Si misero in piedi d’improvviso, ed egli, non capendo, imitò questo loro gesto. Vide allora entrare da una porta alle sue spalle un signore in toga nera, alto non più di lui probabilmente, grassottello, due occhi rubicondi erano nascosti dietro un paio d’occhiali anonimo, poggiato sopra un naso tondo e leggermente arrossato. Il signore nero si sedette, e tutti gli altri lo seguirono. Egli non poté far altro che sedersi a sua volta.
Gli sembrava tutto incomprensibilmente chiaro. Era appena entrato un giudice, si era seduto in alto, accanto a lui. Così il suo ruolo era quello dell’imputato.
Ma che…?
Ed i suoi amici, i suoi fidati amici, dietro quella balaustra, loro che s’erano subitaneamente messi in piedi, loro erano i giurati. C’era anche un altro uomo, di fronte a lui ed al giudice, vestito elegantemente, ed un altro, vestito di una camicia ed un paio di pantaloni in velluto marrone, con un album da disegno in mano ed una matita. C’era anche un altro uomo, alla sua destra, con una macchina da scrivere, se ne stava sonnacchioso con la testa appoggiata su di una mano, guardando il disegnatore e sbadigliando senza interruzione.
Poggiò le mani sulle gambe, ed iniziò a stritolarle l’un l’altra, in visibile imbarazzo. Muoveva anche le gambe, strofinando le scarpe di pelle l’una contro l’altra, pestando un piede con l’altro. La fronte iniziava ad imperlarsi di sudore.
Che razza di farsa è mai questa?
Il giudice iniziò a parlare:
“La legge è uguale per tutti. Siamo qui per giudicare la giustizia dell’imputato, ed a nostra deliberazione corrisponde verità.” – s’interruppe un attimo, come le regole imponevano, e riprese – “E’ il momento dell’accusa.”
S’alzò allora l’uomo elegante, alto e magro, in abito nero, camicia bianca e cravatta ocra. Si fregò le mani, con estrema sicurezza, dirigendosi alla sbarra.
L’imputato si muoveva, cercando d’aprire bocca, cercando il coraggio necessario a chiedere spiegazioni. L’avvocato lo sovrastò con la sua ombra e con le sue parole.
“Il reato commesso è chiaro a tutti, non ritengo di dover dir altro a questa giuria, per non ingiuriare l’intelligenza e lungimiranza che le appartiene. E’ colpevole, non c’è altro.”
Ciò detto si ritirò al posto, alzò la parte terminale della giacca e si rimise a sedere.
Il giudice rimaneva a rimuginare su quanto appena detto, mentre nella giuria si alzava flebile un confuso vociò. Si riebbe rapidamente, in un sussulto, e batté col martelletto, per riportare il silenzio in aula. Fu così che tutti tacquero.
Ceglie alzò la mano sinistra, immediatamente, aperta, e la agitò da una parte all’altra. Temeva, nel farlo, di turbare l’ordine. Ma si accorse ben presto di quanto fosse infondata questa sua paura. Nessuno s’accorse di lui.
Sbaglio, o sono qui per me? E nessuno s’accorge di me?Che razza di farsa è mai questa?
S’alzò in piedi, ma dovette constatare che nulla ancora era cambiato. Il giudice guardava la punta arrossata del suo naso, i giurati bisbigliavano tra loro impercettibilmente, l’avvocato si osservava le unghie, il dattilografo aveva chiuso gli occhi. Il tipo in camicia e pantaloni di velluto fissò l’imputato, scrollò le spalle, con rassegnazione, e riprese a disegnare.
Il giudice, dopo un altro sussulto, si guardò attorno, prima d’esclamare:
“Se, come posso constatare, non esiste alcuna difesa, la giuria può ritirarsi per deliberare.”
Giudice e giurati uscirono, e Ceglie rimase lì, senza potersi alzare. Qualcosa lo tratteneva incollato alla sedia, qualcosa che assomigliava alla sua coscienza. Non aveva idea di cosa l’avesse portato lì, ma sapeva bene cosa gli impediva d’andare. Non era giusto andarsene, gli avevano detto che non era giusto andarsene.
La porta s’aprì, giudice e giurati rientrarono, tutti si misero in piedi. Il giudice chiese:
“La giuria ha raggiunto un verdetto?”
Ed un giurato, quello che aveva su la faccia del fratello dell’imputato, rispose:
“Sì, vostro onore.”
“Come giudica l’imputato?”
“La giuria giudica l’imputato non colpevole.”
“L’imputato è assolto.”

13 dicembre 2008

Altamura. 13 dicembre 2008

Che giorno è oggi? Un altro giorno di silenzio quasi totale, un altro giorno.

Altamura. 13 dicembre 2008

Toni.
Che non lasciano adito a dubbi. Che portano a credere che ci sia qualcosa, di taciuto, di celato. Che portano a temere.
Toni.
Che sfumano, forse inaccessibili, dietro melodie usate. Così usate da capire.

12 dicembre 2008

Bari. 12 dicembre 2008

Attendo in accappatoio che qualcosa dalla strada mi chiami. Che qualcosa mi convinca ad uscire.
Ma fuori è pioggia, è vento, ed io temo, e vento e pioggia. No, non è vero. Non li temo. So stare bene tra loro. Dipende solo da me. Posso uscire e lasciarmi lavar via, soffiar via, come terra (posso sentirmi fango - rimembranze). Posso uscire e sentire tutta la forza di qualcosa che non sarà mai mia. Posso uscire coi pensieri da queste mura, perchè in realtà mi nutro di immagini più che di realtà. Posso, o no. Preferisco pensare di potere.

11 dicembre 2008

Bari. 11 dicembre 2008

Perdendo il mio umore
tra le parole
perdo le parole.

Mi è stato disvelato Hegel in altrui parole, e demistificato il mistero in un semplice schema.
Il dramma non ha senso, se a lieto fine. Diritto, Delitto, Pena, era questo, no?
E la tragedia si ferma ai primi due stadi. Non c'è sanamento, perchè l'odio rimanga alto, perchè rimanga forte l'emozione.
Dimmi un po', qual è il delitto di cui si sono macchiate le tue mani? Quale destino ti vota all'infelicità, colpevole incolpevole?
Perchè siamo esseri pensanti, perchè la natura non basta più, non più le semplici immagini. E questa ragione, che strozza le nostre anime, può deciderci infelici?
La Bellezza si eleva nel suo progresso dalla natura all'Ideale - Fr. Schlegel (Frammenti di estetica).
Ci credo quando vedo più bella una creatura che conosco al di là dello sguardo. Non posso crederci quando vedo i risultati della ragione nelle nostre menti. Non sarebbe il caso di creare immagini e credenze che già Rousseau creò? Non sarebbe forse da promuovere il mito del buon selvaggio, un sano ritorno all'ignoranza, ogni tanto?

Ogni parola scoperta
una parola perduta.

10 dicembre 2008

Bari. 10 dicembre 2008

Iniziare,
è sempre difficile.
Impossibile.
Trovare le parole
giuste
sbagliate.
Cosa importa?
Trovare le parole.
Impossibile.
Per me, ora.

Ed ora.

Just a little over.