"Un uomo che teme di soffrire soffre già quello che teme." Montaigne

14 dicembre 2008

Altamura. 14 dicembre 2008

Era uscito col vestito della festa, accompagnato dai soliti amici. Abito di panno, scarpe di pelle e cravatta. Le strade erano le solite, stranamente deserte in quel gelo pungente d’inverno. I colori attutiti dal lucore del sole, che si spendeva vano.
Percorrevano la solita via, parlottando degli impegni della settimana, con le mani in tasca e le spalle sollevate dal freddo, guardandosi sorridenti ed accelerando il passo per scaldarsi un po’.
Quando entrarono, i volti che gli erano attorno si mutarono in visi sconosciuti. Mantenevano i lineamenti di ogni giorno, ma s’erano velati di un sorrisetto nascosto, malizioso, incerto, ambiguo, per nulla rassicurante. Lo condussero dietro un banco ed andarono a sedersi dietro una balaustra in legno scuro.
Si misero in piedi d’improvviso, ed egli, non capendo, imitò questo loro gesto. Vide allora entrare da una porta alle sue spalle un signore in toga nera, alto non più di lui probabilmente, grassottello, due occhi rubicondi erano nascosti dietro un paio d’occhiali anonimo, poggiato sopra un naso tondo e leggermente arrossato. Il signore nero si sedette, e tutti gli altri lo seguirono. Egli non poté far altro che sedersi a sua volta.
Gli sembrava tutto incomprensibilmente chiaro. Era appena entrato un giudice, si era seduto in alto, accanto a lui. Così il suo ruolo era quello dell’imputato.
Ma che…?
Ed i suoi amici, i suoi fidati amici, dietro quella balaustra, loro che s’erano subitaneamente messi in piedi, loro erano i giurati. C’era anche un altro uomo, di fronte a lui ed al giudice, vestito elegantemente, ed un altro, vestito di una camicia ed un paio di pantaloni in velluto marrone, con un album da disegno in mano ed una matita. C’era anche un altro uomo, alla sua destra, con una macchina da scrivere, se ne stava sonnacchioso con la testa appoggiata su di una mano, guardando il disegnatore e sbadigliando senza interruzione.
Poggiò le mani sulle gambe, ed iniziò a stritolarle l’un l’altra, in visibile imbarazzo. Muoveva anche le gambe, strofinando le scarpe di pelle l’una contro l’altra, pestando un piede con l’altro. La fronte iniziava ad imperlarsi di sudore.
Che razza di farsa è mai questa?
Il giudice iniziò a parlare:
“La legge è uguale per tutti. Siamo qui per giudicare la giustizia dell’imputato, ed a nostra deliberazione corrisponde verità.” – s’interruppe un attimo, come le regole imponevano, e riprese – “E’ il momento dell’accusa.”
S’alzò allora l’uomo elegante, alto e magro, in abito nero, camicia bianca e cravatta ocra. Si fregò le mani, con estrema sicurezza, dirigendosi alla sbarra.
L’imputato si muoveva, cercando d’aprire bocca, cercando il coraggio necessario a chiedere spiegazioni. L’avvocato lo sovrastò con la sua ombra e con le sue parole.
“Il reato commesso è chiaro a tutti, non ritengo di dover dir altro a questa giuria, per non ingiuriare l’intelligenza e lungimiranza che le appartiene. E’ colpevole, non c’è altro.”
Ciò detto si ritirò al posto, alzò la parte terminale della giacca e si rimise a sedere.
Il giudice rimaneva a rimuginare su quanto appena detto, mentre nella giuria si alzava flebile un confuso vociò. Si riebbe rapidamente, in un sussulto, e batté col martelletto, per riportare il silenzio in aula. Fu così che tutti tacquero.
Ceglie alzò la mano sinistra, immediatamente, aperta, e la agitò da una parte all’altra. Temeva, nel farlo, di turbare l’ordine. Ma si accorse ben presto di quanto fosse infondata questa sua paura. Nessuno s’accorse di lui.
Sbaglio, o sono qui per me? E nessuno s’accorge di me?Che razza di farsa è mai questa?
S’alzò in piedi, ma dovette constatare che nulla ancora era cambiato. Il giudice guardava la punta arrossata del suo naso, i giurati bisbigliavano tra loro impercettibilmente, l’avvocato si osservava le unghie, il dattilografo aveva chiuso gli occhi. Il tipo in camicia e pantaloni di velluto fissò l’imputato, scrollò le spalle, con rassegnazione, e riprese a disegnare.
Il giudice, dopo un altro sussulto, si guardò attorno, prima d’esclamare:
“Se, come posso constatare, non esiste alcuna difesa, la giuria può ritirarsi per deliberare.”
Giudice e giurati uscirono, e Ceglie rimase lì, senza potersi alzare. Qualcosa lo tratteneva incollato alla sedia, qualcosa che assomigliava alla sua coscienza. Non aveva idea di cosa l’avesse portato lì, ma sapeva bene cosa gli impediva d’andare. Non era giusto andarsene, gli avevano detto che non era giusto andarsene.
La porta s’aprì, giudice e giurati rientrarono, tutti si misero in piedi. Il giudice chiese:
“La giuria ha raggiunto un verdetto?”
Ed un giurato, quello che aveva su la faccia del fratello dell’imputato, rispose:
“Sì, vostro onore.”
“Come giudica l’imputato?”
“La giuria giudica l’imputato non colpevole.”
“L’imputato è assolto.”

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