"Un uomo che teme di soffrire soffre già quello che teme." Montaigne

4 novembre 2010

Bari. 04 novembre 2010. Diretteparallele

Cerco almeno una parvenza d'ordine attorno a me.
Fogli sparsi, disordine di parole. Le punte delle mani a tratti sembrano gelate ed incapaci.
Parlavamo di linguaggi, di comprensione, di tradimento, di traduzione. Come riuscire a comunicare con linguaggi diversi.
Forse basta tuffarsi negli occhi, forse basta toccarsi.
Poi, oltre questo, cosa rimane? E dove vanno a finire il piacere di parlare, di discutere, di creare?
Mi vedo sorda a cercare di spiegarmi, con le mie parole mutile. Stringo gli occhi per mettere a fuoco i movimenti delle sue labbra, aggrotto la fronte per focalizzare la mente sul suono silenzioso. E' qualcosa che non sento e cerco di comprendere.
Chi è di fronte cerca di comprendere il mio disagio, ma non può sentirlo. Ne sente un altro, che io non comprendo, al pari delle sue parole. Annaspa con le mani tra i gesti, per far immagine dei pensieri, per colmare il vuoto che ci separa. E tutto questo sembra creare un abisso incolmabile in tre dimensioni.
Tre dimensioni che trovano la loro realizzazione totale solo nella mia mente, solo nella sua. Fuori non esiste nulla di completo. Forse toccarsi, forse guardarsi. Forse.

3 commenti:

  1. oltre, e poi ancora oltre

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  2. Per non parlare di quando le rette diventano cerchi concentrici e chissaperchè si ritorna sempre a battere il chiodo neglio stessi maledessissimi punti. Dove l'errore? Certe cose non si superano, appartengono al passato, alle ossa, e basta. Per quanto ci si tuffi, ci si plachi, resta sempre quel vuoto fastidioso e doloroso, quel no, quel vuoto di comunicabilità, resta la paura che torni, che non esista un'altra lingua a mediare.

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